Le premesse per sviluppare l'elettrocardiografo, l'apparecchio usato per registrare l'attività cardiaca dando luogo a un grafico particolare, l'elettrocardiogramma, si devono a due filoni di ricerca. Da un lato, alla fine dell'Ottocento era emerso che alcune attività fisiologiche sono collegate a fenomeni elettrici. In particolare, l'italiano Carlo Matteucci (1811-1868), studioso di elettrofisiologia, nel 1844 dimostrò che l'attività del cuore produce elettricità. Aveva adagiato su un cuore pulsante il moncone di un nervo collegato a un muscolo, ottenendo il risultato che a ogni contrazione cardiaca si muoveva anche il muscolo. La spiegazione fornita fu che l'attività elettrica cardiaca generava una corrente indotta nel nervo, anche se all'inizio gli scienziati non seppero concludere se il cuore si muovesse per attività propria (ipotesi miogena) o grazie a stimoli di natura nervosa (ipotesi neurogena). Il secondo filone di ricerca fu quello che portò, sempre nel secolo scorso, all'invenzione dei primi galvanometri a corda, strumenti in grado d'identificare correnti elettriche anche deboli. L'invenzione dell'elettrocardiografo, dunque, scaturì dal fatto che il progresso tecnologico aveva reso possibile indagare a fondo su fenomeni sui quali si era appena aperto il sipario.
Nel 1876 il fisiologo Étienne-Jules Marey (1830-1904) pubblicò il primo tracciato fotografico delle oscillazioni di un elettrometro o nel corso di un ciclo cardiaco, mentre il primo tracciato elettrico del cuore umano fu documentato nel 1877 dallo studioso francese Augustus D. Waller (1856-1922). In genere, si fa slittare la nascita della tecnica al 1903, quando il fisiologo olandese Willem Einthoven (1860-1927) pubblicò i dati concernenti il primo elettrocardiografo. A questo fisiologo si deve anche la descrizione delle tre derivazioni standard dell'elettrocardiogramma (descrizione detta triangolo di Einthoven) e il fatto di aver indicato con le lettere dell'alfabeto P, Q, R, S e T le curve che compongono il tracciato. Lo strumento di Einthoven utilizzava un galvanometro a corda del peso di 275 kg e comprendeva anche una sottilissima corda di quarzo, rivestita d'argento e sospesa tra i poli di un elettromagnete . Le deboli correnti elettriche generate dal cuore facevano deflettere la corda lungo una direzione perpendicolare al campo magnetico e i piccoli movimenti erano amplificati mediante la proiezione ottica (ottenuta con un microscopio ) su carta chimicamente sensibile alla luce (fotosensibile) in movimento. Per la piccola massa della corda, correnti elettriche di soli 10')( watt bastavano a far deflettere la sua ombra di 1 cm in meno di 0,15 secondi. A questo primo apparecchio "a bassa potenza" hanno fatto seguito modelli di media e alta potenza - capaci di far muovere direttamente una penna che scrive l'elettrocardiogramma (ECG) - e, infine, quelli con tubo a raggi catodici . In quest'ultimo la massa mobile ha un'inerzia minima perché è costituita da un fascio di elettroni emessi dal catodo incandescente di un tubo a vuoto, fascio che termina all'estremo piatto del tubo come un punto luminoso. L'accoppiamento con un oscilloscopio permette di ottenere che il punto sia spostato con un movimento costante da sinistra a destra. Nel 1928 erano già disponibili elettrocardiografi portatili del peso di 14 kg e oggi si è arrivati a poco più di 1 kg.
Alla fine degli anni Cinquanta, iniziarono i primi tentativi di conversione analogico-digitale del tracciato elettrocardiografico e subito dopo le prime applicazioni cliniche di un programma per una lettura automatica. Lo scopo dell'elettrocardiografia computerizzata era e resta non solo un'ottimizzazione delle risorse finanziarie e umane nei servizi di cardiologia, ma anche la possibilità di memorizzare i dati e di ridurre gli errori nell'interpretazione del tracciato. Secondo previsioni ottimistiche degli anni passati, avrebbe dovuto essere possibile entro il 1980 analizzare in modo automatico quasi tutti gli ECG, ma questo è avvenuto solo nel 10% dei casi per l'alta frequenza di errori nell'interpretazione del tracciato. Ora queste difficoltà sono state in larga parte superate e il software attualmente incorporato in molte macchine permette misure in via automatica del tracciato e giudizi diagnostici. E' possibile anche realizzare un ECG telemetrico, a distanza, grazie al collegamento telefonico tra il paziente a casa e il medico operante in un centro di cardiologia. Inoltre, dei registratori portatili permettono un'elettrocardiografia dinamica che consiste nella registrazione continua dell'attività cardiaca, 24 ore su 24, mentre la persona svolge le sue normali attività. Alcune apparecchiature del genere sono dotate di un avvisatore acustico o luminoso, e se viene registrata un'alterazione pericolosa, ciò è segnalato subito all'interessato.
L'introduzione di esami cardiologici d'altro genere - ecocardiografia, metodiche radioisotopiche, tomografia assiale computerizzata (TAC) e risonanza magnetica nucleare - ha integrato più che sostituire l'ECG, che resta utile e pratico nella diagnosi di gran parte delle malattie di cuore dovute a difetti di circolazione. Ancora oggi l'ECG è l'esame fondamentale quando si sospettano un infarto cardiaco o un'aritmia, un disturbo del ritmo cardiaco. Inoltre, la registrazione dell'attività elettrica del cuore ha permesso di scoprire disturbi in precedenza sconosciuti che sono da considerare vere e proprie "malattie elettrocardiografiche". Gli sforzi attuali sono volti principalmente a costruire apparecchiature ancora più piccole, dotate di lettura automatica e che il medico possa portare con sé.